Caos dazi, il punto sull’import di energia dagli Usa a 10 giorni al D-day
In 5 mesi 25 interventi tra annunci, rinvii ed entrate in vigore. Washington primo fornitore Ue di petrolio greggio e Gnl, quarto dell’Italia (era il decimo prima della guerra in Ucraina)
Mancano 10 giorni al D-day dei dazi. Dal prossimo 1° agosto entrano in vigore i dazi del 30% annunciati nella lettera inviata dal Presidente Trump lo scorso 12 luglio. Se non si raggiungerà un accordo, la Commissione europea applicherà le misure di riequilibrio su acciaio e alluminio che erano state sospese fino al 1° agosto e, a partire dal 6 agosto, su un secondo elenco di beni che ammonta a circa 72 miliardi di euro di importazioni statunitensi.
La guerra dei dazi sta generando una parossistica successione di eventi che rende difficili le decisioni di acquisto delle imprese di input produttivi e di beni di investimento. Nella trattativa tra Unione europea e Stati Uniti, tra il 10 febbraio e il 14 luglio di quest’anno, si sono succeduti venticinque interventi, uno ogni sei giorni, tra annunci, sospensioni, rinvii ed entrate in vigore.
Le valutazioni di impatto confermano che la politica dei dazi è lose-lose, generando perdite per chi la adotta e per chi la subisce. Nello scenario più severo delineato nelle previsioni di giugno della BCE, con dazi statunitensi sui livelli elevati annunciati il 2 aprile e l’imposizione da parte dell’UE di dazi ritorsivi, il tasso di incremento del PIL in termini reali scende dei circa mezzo punto percentuale sia negli Stati Uniti, che in Cina e nell’Eurozona. Le maggiori entrate fiscali generate dai dazi ricadono sui consumatori, rialzando l’inflazione e la pressione fiscale.
Uno degli obiettivi della politica commerciale dell’amministrazione Trump consiste nella riduzione del disavanzo commerciale degli Stati Uniti con i partner commerciali, in primis Cina e Unione europea. Ma nella partita del saldo commerciale tra UE e Stati Uniti vanno considerati anche i servizi, gli acquisti per la difesa e l’energia. Nel 2024 l’Unione europea nei confronti degli Stati Uniti presenta un avanzo per i beni di 256,6 miliardi di euro ma un disavanzo per i servizi di 151,3 miliardi di euro che, come indicato in una recente analisi della BCE, per il 90% è determinato da scambi delle affiliate delle multinazionali statunitensi situate nell’area dell’euro.
In relazione al piano per il riarmo dell’UE e al nuovo target del 5% del PIL per le spese della difesa definito nell’ultimo summit della Nato, sono di grande rilevanza gli acquisti di prodotti made in USA: come indicato nel documento sulla strategia europea per la difesa della Commissione europea, il 63% delle acquisizioni nel settore della difesa da parte degli Stati membri dell’UE tra l’inizio della guerra di aggressione della Russia e il giugno 2023 è stato effettuato presso gli Stati Uniti.
Sul fronte energetico gli Stati Uniti, dopo aver raggiunto l’indipendenza ed essere diventati esportatori netti di commodities, hanno consolidato il loro peso sul mercato dell’Unione europea e nel primo trimestre 2025 sono il primo fornitore di greggio e di GNL dell’UE. Nel dettaglio, gli Stati Uniti sono il primo fornitore di petrolio greggio dei 27 paesi dell’Ue con una quota che secondo i dati di Eurostat nel primo trimestre del 2025 è del 15,0%, davanti alla Norvegia (13,5%), Kazakhistan (12,7%) e Libia (9,0%), segnando un calo di oltre due punti rispetto al 17,1% del primo trimestre del 2024.
Più della metà (50,7%) del GNL importato dall’UE proviene dagli Stati Uniti, primo fornitore davanti alla Russia (17,0%) e Qatar (10,8%). In prospettiva gli Stati Uniti potranno ampliare ulteriormente la loro quota sul mercato europeo del GNL, considerato che lo scorso giugno (QE 17/6) la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa che punta alla riduzione progressiva dell’ import di gas e petrolio russi, fino a eliminarli del tutto entro la fine del 2027. Potrebbe essere una carta da giocare al tavolo dei dazi.
Nel 2025 (ultimi dodici mesi ad aprile) l’Italia presenta un deficit commerciale per l’energia con gli Stati Uniti di 4,6 miliardi di euro, in larga parte determinato dai 4,3 miliardi di euro di import di petrolio greggio e gas. Gli Stati Uniti, con una quota dell’8,6% dell’import totale di greggio e gas, si consolidano come quarto partner energetico dietro ad Algeria con 20,3%, Azerbaigian con 16,8%, Libia con 12,2% e davanti a Kazakhistan con 7,5%, Norvegia con 5,9% e Qatar con 5,3%. Grazie alla diversificazione per sostituire le forniture russe, in quattro anni gli Stati Uniti hanno scalato sei posizioni: nel 2021, prima dell’invasione dell’Ucraina, erano il decimo paese fornitore di commodities energetiche con una quota che si fermava al 2,3%.
Rubrica Imprese ed energia su QE- Quotidiano Energia del 22 luglio 2025