Def: i nodi dei conti pubblici italiani
Le criticità su deficit, riduzione del debito, sostegno a transizione green degli edifici e ritardi del Pnrr. Il caro-tassi più pesante in Italia riduce gli investimenti delle imprese
(analisi con informazioni disponibili alle ore 13.11 del 9 aprile 2024)

Il Consiglio dei ministri vara il Documento di economia e finanza per il 2024 che contiene il quadro di finanza pubblica a legislazione invariata (tendenziale) e rinvia il quadro programmatico – quello previsto con le manovre di bilancio – al prossimo Piano fiscale-strutturale di medio termine previsto dalle nuove regole europee. Il Piano, che avrà una cadenza allineata alla durata della legislatura (5 anni per l’Italia), sarà presentato il prossimo 20 settembre e, nel periodo di programmazione, ogni 30 aprile sarà integrato da un Rapporto di monitoraggio annuale. Il Def in corso di pubblicazione potrebbe indicare per il 2024 una crescita del Pil attorno all’1% e confermare il rapporto deficit/Pil del 4,3% previsto nella Nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre, in riduzione rispetto al 7,2% fissato dall’Istat per il 2023, in attesa della riclassificazione dei bonus edilizi di Eurostat prevista per giugno.

In questo articolo riepiloghiamo i punti di complessità della politica fiscale italiana.

Il deficit è ampiamente superiore al 3% del PIL, e con il ritorno in vigore del Patto di stabilità e crescita, come preannunciato dal ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, è scontata l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia, come della Francia e di altri dieci paesi. Nelle raccomandazioni di maggio del 2023 la Commissione riteneva opportuno per l’Italia un miglioramento del saldo strutturale di almeno lo 0,7 % del PIL per il 2024. Tra un aggiustamento di questa entità (14,9 miliardi di euro) e la conferma degli interventi sul cuneo fiscale (11,4 miliardi di euro) e sull’Irpef (4,3 miliardi) la prossima manovra di bilancio per il 2025 ipotecherebbe risorse per 30,6 miliardi di euro, tra maggiori entrate e minori spese. In relazione al ciclo elettorale europeo  (elezioni a giugno e nuova Commissione europea in autunno) si potrebbero contenere le richieste di aggiustamento per Italia e Francia.

I futuri aggiustamenti di bilancio dovranno adattarsi alle nuove regole previste dalla riforma del Patto di stabilità e crescita che, per i paesi ad alto debito, come l’Italia, prevedono una riduzione del rapporto debito/PIL dell’1% all’anno e un prudenziale limite del rapporto deficit/PIL dell’1,5%. Con la manovra per il 2024 si garantiva una stabilizzazione del rapporto debito/PIL. Nonostante il debito nel 2023 si collochi al 137,3% del PIL – in riduzione di 3,2 punti dal 140,5% del 2022 e inferiore alla previsione del 140,2% di settembre 2023 –  con una minore crescita è probabile che, a legislazione vigente, non si riesca a mantenere la riduzione del peso del debito pubblico.

Il sostegno della politica fiscale è depotenziato dai ritardi nell’attuazione del PNRR. Nel consuntivo contenuto nella quarta relazione sul Piano approvata dal Governo a fine febbraio 2024, la spesa sostenuta a tutto il 2023 è pari a 45,7 miliardi di euro, ben 40,1 miliardi in meno degli 85,9 miliardi previsti nel DEF di tre anni fa, evidenziando la capacità amministrativa come elemento critico della esecuzione del Piano, come ha recentemente indicato la Corte dei conti.

Un severo aggiustamento fiscale potrebbe ridurre le risorse necessarie per accompagnare le famiglie nell’attuazione della direttiva sulle case green,  da cui è attesa una riduzione dell’energia utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035. Si stima che siano 9,5 milioni (37,1%) le abitazioni occupate collocate nella classe energetica meno efficiente (G). Ulteriori incertezze e complessità burocratiche deriverebbero dalla sostituzione dei crediti di imposta con i contributi.

La stretta monetaria sta riducendo il tasso di investimento delle imprese, che nel 2023 scende al 18,7% del valore aggiunto, in calo di 1,2 punti dal 19,9% del 2022. In prospettiva di una restrizione fiscale, diventa particolarmente prezioso il pacchetto di sostegno agli investimenti per la transizione 5.0, contenuto nel decreto PNRR dello scorso 2 marzo, che prevede crediti di imposta per investimenti effettuati per 6,2 miliardi di euro nel biennio 2024 e 2025, che si aggiungono ai 6,4 miliardi già previsti dalla legge di bilancio.

Se la governance fiscale diventerà restrittiva, sarà più che mai necessario un rapido cambio di direzione della politica monetaria, con un taglio dei tassi che andrebbe avviato già nella riunione del Consiglio della BCE di giovedì prossimo. Il caro-tassi ha colpito maggiormente per le imprese italiane: a febbraio 2024  il costo del credito bancario per le imprese è pari al 5,44%, di 32 punti base in più rispetto al 5,12% dell’Eurozona e  superiore di 381 punti base rispetto a quelli di giugno 2022, mese precedente al primo rialzo, un aumento più marcato dei 329 punti base in più registrati in Eurozona.

Una stretta fiscale metterebbe il freno a mano all’economia italiana, locomotiva europea nella ripresa post pandemia.  Tra il 2019 e il 2023 l’Italia ha cumulato una crescita del PIL del 3,5%, facendo meglio di Spagna (+2,5%), Francia (+1,5%) e Germania (+0,7%).

In parallelo, le imprese stanno sostenendo uno straordinario ciclo espansivo del mercato del lavoro: a febbraio 2024 l’occupazione cresce dell’1,5% su base annua, (+351mila occupati) trainata dall’aumento di 603mila dipendenti a tempo indeterminato, mentre si aggrava la carenza di manodopera, che nel 2023 è salita al 45,1%.

Negli ultimi due anni, caratterizzati dalle incertezze del conflitto in Ucraina, da una grave crisi energetica e dal calo del commercio internazionale, gli occupati in Italia sono saliti di 799mila unità (+3,5%), con 1 milione 130mila dipendenti permanenti in più (+7,6%) a fronte di un calo di 296mila dipendenti temporanei (-9,5%) e di 35mila indipendenti (-0,7%).

Rubrica Imprese ed energia su QE- Quotidiano Energia del 9 aprile 2024