HIGHLIGHTS – Il perimetro dell’artigianato maggiormente esposto alla concorrenza sleale del sommerso nel 2017
La concorrenza sleale nei settori con un tasso di lavoro irregolare superiore alla media è subita da 858.347 imprese artigiane, pari a quasi i due terzi (64,7%) dell’artigianato nazionale, che danno lavoro a 1.339.401 addetti (49,7% dell’occupazione dell’artigianato). L’Indice di pressione della concorrenza sleale nei confronti dell’artigianato presenta valori più elevati in Campania, Lazio, Calabria e Sicilia e nel Mezzogiorno è il doppio della media nazionale.
L’analisi degli ultimi dati disponibili evidenzia che nel 2015 all’economia sommersa si riferisce un valore aggiunto di 190.474 milioni di euro, pari all’11,5% del PIL. Nell’ultimo anno il valore aggiunto riconducibile all’economia sommersa diminuisce del 2,8%; la riduzione è spinta dalla maggior compliance fiscale delle imprese con un calo del 6,4% per la sottodichiarazione, mentre il lavoro irregolare diminuisce dello 0,9%. Nel lungo periodo (2011-2015) si rileva, invece, un aumento del valore aggiunto da economia sommersa dell’1,8% trainato dal +8,7% del lavoro non regolare mentre la sottodichiarazione diminuisce dello 0,3% e le altre voci dell’11,1%.
Il lavoro irregolare: i settori – A fronte di un peso del valore aggiunto da lavoro non regolare sul valore aggiunto totale pari al 5,2% si rilevano valori superiori per Altri servizi alle persone (23,6%), Agricoltura, silvicoltura e pesca (15,5%), Costruzioni (10,8%), Commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione (8,2%) e Servizi professionali (5,9%). Al contrario il Manifatturiero esteso – comprensivo di estrattivi ed energia – mostra un peso sul valore aggiunto pari al 2,2%, più che dimezzato rispetto della media.
In Italia il lavoro sommerso pesa più di quello della Pubblica amministrazione: nel 2015 infatti le 3.723.600 le unità di lavoro equivalenti non regolari superano dell’11,6% (388.000 unità in più) le 3.335.600 le unità di lavoro equivalenti alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche.
La concorrenza sleale dell’abusivismo: cresce il lavoro irregolare indipendente. Nel 2015 sono 3 milioni e 724 mila le unità di lavoro equivalenti non regolari, occupate in prevalenza (71,2% del lavoro irregolare) come dipendenti, con 2 milioni e 651 mila unità, a cui si aggiunge 1 milione e 72 mila unità indipendenti non regolare (restante 28,8%). In una fase di selezione del lavoro indipendente, si osserva che nell’ultimo anno il lavoro indipendente il totale delle unità di lavoro indipendente scende dello 0,3%, tutto dovuto al calo di unita regolari (-0,4%) mentre resistono le unità irregolari. La crescente presenza sul mercato di figure autonome irregolari è evidente nel lungo periodo: in quattro anni (2011-2015) crolla del 5,1% il lavoro indipendente regolare mentre salgono del 2,5% gli indipendenti irregolari, intensificando il fenomeno dell’abusivismo e della concorrenza sleale nei confronti delle imprese artigiane regolari.
Ai massimi storici il tasso di irregolarità del lavoro indipendente. Nel 2015 è pari al 15,9% il tasso di irregolarità – incidenza delle unità di lavoro equivalenti non regolari – con un trend di salita dal 2011. Nel dettaglio per posizione per il lavoro dipendente il tasso di irregolarità è pari al 16,3% mentre è pari al 14,8% per il lavoro indipendente, raggiungendo il massimo degli ultimi 20 anni. A livello settoriale il tasso di irregolarità complessivo è il 17,9% dell’Agricoltura seguito dal 17,4% dei Servizi, dal 16,9% delle Costruzioni mentre scende al 7,8% nel Manifatturiero esteso – comprensivo di estrattivi ed energia.
Due imprese artigiane su tre soffrono la concorrenza sleale del sommerso. Negli undici settori dove il lavoro irregolare è superiore alla media, nel 2017 sono esposte alla concorrenza sleale del sommerso 858.347 imprese artigiane, pari a quasi i due terzi (64,7%) dell’artigianato nazionale, che danno lavoro a 1.339.401 addetti (49,7% dell’occupazione dell’artigianato). Nel dettaglio i maggiori comparti dove si riscontra una elevata irregolarità sono: le Costruzioni con 501.834 imprese artigiane (37,8% dell’artigianato nazionale) ed un tasso di lavoro irregolare del 16,9%, gli Altri servizi alla persona con 191.917 imprese (14,5%) ed un tasso del 25,2%, i Trasporti e magazzinaggio con 85.706 imprese (6,5%) ed un tasso del 19,9% ed i Servizi di alloggio e di ristorazione con 48.652 imprese (3,7%) ed un tasso del 26,7%.
L’Indice di pressione della concorrenza sleale del lavoro irregolare evidenzia che, in media nazionale, si contano 1,1 occupati non regolari che competono slealmente per 1 addetto dell’artigianato, e presenta ampie differenziazioni territoriali. L’Indice nel Mezzogiorno, con 2,2 occupati non regolari per ogni addetto dell’artigianato è doppio della media nazionale. Nel dettaglio regionale i valori dell’Indice più elevati si riscontrano in Campania con 3,6 occupati non regolari per ogni addetto dell’artigianato, nel Lazio con 3,3, in Calabria con 2,8 ed in Sicilia con 2,1. All’opposto l’artigianato soffre meno tale concorrenza nella Provincia Autonoma di Bolzano, nelle Marche e nel Veneto dove l’Indice di 0,5 indica che gli occupati non regolari sono dimezzati rispetto agli addetti dell’artigianato.