La manovra 2023 e il nodo della pressione fiscale
Politica fiscale condizionata da interventi contro caro energia: dal 2021 misure per 4,6 punti di PIL. Manovra con effetti espansivi di 0,3% PIL. Italia al 5° posto per cuneo fiscale mentre lo spread fiscale sale a 2,3 punti di PIL, pari a 711 euro per abitante

Le previsioni dell’Ocse pubblicate martedì scorso indicano per l’Italia nel 2023 una crescita del PIL dello 0,2%, con una alta probabilità di recessione tecnica, con due cali consecutivi del prodotto nel quarto trimestre del 2022 e nel primo trimestre 2023. La manovra di bilancio, che  approda in Parlamento questa settimana, contiene un impulso espansivo di 0,3 punti di PIL, portando la crescita programmatica allo 0,6% a fronte di uno 0,3% tendenziale.

Il Documento programmatico di bilancio 2023 inviato giovedì scorso alla Commissione europea conferma che la politica fiscale è condizionata dagli interventi contro il caro energia, con le misure adottate a partire dal 2021 che sono arrivate a 4,6 punti di PIL. La manovra per il 2023, finanziata in deficit per un punto di PIL, è concentrata sugli interventi per contrastare il caro energia per 0,97 punti di PIL (circa 19,4 miliardi di euro) e la riduzione del cuneo fiscale per 0,24 punti (4,9 miliardi). A seguire gli interventi su sanità per 0,14 punti, rifinanziamento missioni internazionali e fondi ministeri  per 0,11 punti, politiche per la famiglia per 0,10 punti, sostegno alle imprese (plastic e sugar tax e fondo garanzia PMI) per 0,08 punti, misure di sostegno agli investimenti pubblici per 0,06 punti, misure in favore dei contribuenti (stralcio e definizione della cartelle esattoriali)  sempre per 0,06 punti, interventi a livello locale per 0,04 punti e flat tax per 0,01 punti. Il Documento non esplicita 0,65 punti di PIL – circa 13 miliardi di euro – di altre coperture, tra maggiori entrate e minori spese.

In relazione alla riduzione dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti, il confronto internazionale evidenzia che in Italia cuneo fiscale nel 2021 è pari al 46,5%, di 11,9 punti superiore alla media dei paesi avanzati (34,6%), collocando il nostro Paese al quinto posto dietro a Belgio (52,6%), Germania (48,1%), Austria (47,8%) e Francia (47,0%). Il divario del cuneo fiscale in Italia è quasi interamente determinato dai contributi sociali a carico del datore di lavoro, pari al 24,0% e superiore di oltre dieci punti il 13,5% della media Ocse; poco meno di un terzo del cuneo è determinato dal 15,3% di imposte su redditi da lavoro dipendente e il restante 7,2% dai contributi sociali a carico del lavoratore.

L’alta tassazione sul lavoro contribuisce ad una elevata pressione fiscale, come evidenziato nel 17° Rapporto di Confartigianato ‘Imprese nell’Età del chilowatt-oro’ presentato la scorsa settimana (QE 22/11). La comparazione internazionale evidenzia che, dopo il picco nel 2022 del 44,0%, nel 2023 il carico fiscale (tax burden) su cittadini e imprese italiani sarà pari al 43,9% del PIL, con una discesa di 0,1 punti e meno accentuata rispetto alla riduzione di 0,5 punti osservata nell’Eurozona. Per questo indicatore l’Italia si colloca al terzo posto nell’Ue a 27, salendo di una posizione rispetto al 2022. Di conseguenza lo spread di carico fiscale tra Italia ed Eurozona, passa da 1,9 punti del 2022 a 2,3 punti del 2023, superando il precedente picco del 2012: tale divario si traduce in una maggiore tassazione per cittadini ed imprese di 42,2 miliardi di euro, equivalente a 711 euro per abitante.

Imprese ed energia, 28 novembre 2022