La spesa per la difesa e i vincoli Ue spiazzano il sostegno alla transizione
Il costo del riarmo dovrà essere compensato da risparmi in altri settori, mettendo a rischio gli investimenti aggiuntivi pari al 3,2% del Pil Ue necessari a centrare il target di riduzione delle emissioni di gas-serra del 55% al 2030
Mentre sale la preoccupazione per i cambiamenti climatici, l’Italia mostra una maggiore esposizione in Europa agli effetti degli eventi metereologici estremi. Per la decarbonizzazione servono ingenti investimenti, vincolati da regole di bilancio europee e ora spiazzati dal piano di riarmo. Per una efficacia degli investimenti green europei serve una convergenza, oggi poco realistica, con le azioni di Stati Uniti e Cina. Con le incertezze sulla mobilità elettrica in Italia crolla la produzione di autoveicoli, che si allinea al minimo storico.
Secondo un recente sondaggio Eurobarometro il 36% degli italiani ritiene molto serio il problema del cambiamento climatico (a fronte del 37% della media UE) e il 50% lo ritiene abbastanza grave. Da una nostra precedente analisi su dati Istat (QE 18/03) si evince che la preoccupazione per il cambiamento climatico, la più diffusa, interessa il 58,1% della popolazione e sale di 2 punti percentuali rispetto al 2023, mentre più di un quarto (28,5%) della popolazione è preoccupata per il dissesto idrogeologico.
Secondo i dati dell’ Agenzia europea dell’ambiente (EEA), l’Italia ha cumulato dal 1980 al 2023 perdite economiche per eventi estremi meteo e climatici per 2.311 euro per abitante valutate a prezzi 2023, superiore ai 2.258 euro per abitante della Spagna, ai 2.225 euro per abitante della Germania e ai 2.092 euro per abitante della Francia.
Per tutelare il territorio dagli effetti degli eventi climatici estremi servono investimenti pubblici in infrastrutture, che nel ciclo di austerità successivo alla crisi del debito sovrano in Italia sono stati severamente penalizzati. Dal 2018 gli investimenti delle Amministrazioni pubbliche in opere del genio hanno ripreso a salire e nel 2023 sono arrivati allo 0,75% del PIL, un livello che non si toccava da più di dieci anni.
Ma gli investimenti pubblici e privati per affrontare il cambiamento climatico sono di ben altra dimensione. Secondo i dati della Commissione europea, ripresi in una analisi del Bollettino economico della BCE n.1 del 2025, a fronte dell’attuali investimenti europei per la riduzione dei gas serra pari al 5,1% del PIL dell’UE 27, per conseguire l’obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030 saranno necessari ulteriori investimenti green pari al 3,2% del PIL, con un fabbisogno complessivo annuo di investimenti verdi pari all’8,3% del PIL europeo. Si tratta di un obiettivo molto ambizioso, che richiede un accompagnamento della politica fiscale, che però appare difficile da concretizzare. In Italia e Francia, ad esempio, la politica fiscale non può essere espansiva, dato che sono paesi sottoposti a procedura per deficit eccessivo. Inoltre, pesano i vincoli delle regole europee che per l’Italia prevedono un tasso di crescita annua dell’1,5% della spesa primaria netta. In presenza di tale vincolo, la maggiore spesa per la difesa, richiesta dagli accordi definiti nell’ultimo summit della Nato e dal piano di riarmo europeo deciso a marzo, spiazzerà il sostegno fiscale agli investimenti green, in Italia come in molti altri paesi europei. Per l’Italia, infatti, le Raccomandazioni della Commissione dello scorso 4 giugno indicano che si deve “potenziare la spesa complessiva e la prontezza in materia di difesa” e nel contempo “rispettare i tassi massimi di crescita della spesa netta”. Ne consegue che, come indicato anche dal Fondo monetario internazionale, una nuova misure di spesa per la difesa “dovrebbe essere pienamente compensata da ulteriori risparmi in altri settori”, mettendo a maggiore rischio il sostegno agli investimenti per la transizione green, poste di bilancio più esposte alla spending review essendo meno rigide di quelle per le pensioni, gli stipendi dei dipendenti pubblici, gli interessi su debito pubblico, la sanità e, naturalmente, la difesa.
Ma anche qualora i 27 Paesi dell’Unione europea mettessero in pista i 1.241 miliardi di euro all’anno di investimenti necessari per la decarbonizzazione, si otterrebbe un impatto che si limitato al 16,5% delle emissioni di CO2 globali generate dall’Ue, mentre Cina e Stati Uniti, insieme, ne generano il 42,3%. E’ del tutto evidente che senza un’azione convergente con le due maggiori economie mondiali – improbabile dopo che il presidente Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima – l’efficacia degli investimenti europei sarà depotenziata, e i gravi effetti del cambiamento climatico persisteranno, per molti anni.
Il 60,8% degli investimenti green sono previsti nel settore del trasporto. Le incertezze sulla transizione elettrica e la crescente concorrenza della produzione cinese stanno pesando sul crollo della produzione di autoveicoli in Italia, che nel 2025 (ultimi dodici mesi ad aprile) torna al minimo storico del 2013, segnando nei primi quattro mesi dell’anno una flessione del 29,0%.
Rubrica Imprese ed energia su QE- Quotidiano Energia del 7 luglio 2025