Sale costo del credito, cala la domanda di prestiti: -2,2% nei settori energivori
Rallenta l’inflazione energetica anche in Italia: +28,2%, ma rimane doppia rispetto all’Eurozona. Segnale di tenuta investimenti nella Penisola
In Eurozona il tasso di inflazione a febbraio 2023 si colloca all’8,5%, in leggero rallentamento rispetto al +8,6% di gennaio. In Italia l’inflazione è del 9,8%, con un più deciso arretramento rispetto al 10,7% di gennaio.
In decisa frenata l’inflazione energetica che in Eurozona scende al 13,7% (era al 18,9% a gennaio) e in Italia, pur rimanendo doppia rispetto alla media europea, decelera al 28,2% (era 42,8% a gennaio e 65,1% a dicembre 2022, risultando il tasso inflazione energetica più alto d’Europa). A febbraio 2023 i prezzi dell’energia salgono del 21,6% in Germania, del 14,0% in Francia mentre sono in controtendenza in Spagna, dove diminuiscono dell’8,8%.
Cresce l’inflazione di fondo – netto dell’energia e degli alimentari freschi – che in Eurozona passa dal 7,1% di gennaio al 7,4% di febbraio e in Italia, rispettivamente, dal 6,6% al +7,0%. Nonostante le tensioni crescenti sui mercati finanziari, a seguito del segnale di crescita della componente di fondo la Bce lo scorso 16 marzo ha deciso un ulteriore aumento di 50 punti base dei tassi di riferimento, con un incremento complessivo di 350 punti base dalla fine del luglio scorso, un incremento inedito nella storia dell’euro per intensità e velocità.
La stretta monetaria continua a traslarsi sul costo del credito delle imprese. La più recente rilevazione relativa a gennaio 2023 mostra che il tasso sui nuovi prestiti alle imprese è del 3,72% con una crescita di 260 punti base in un anno concentrata per l’88% proprio nell’arco di tempo interessati dalla stretta monetaria (+228 punti base tra giugno 2022 e gennaio 2023 in più a fronte dell’aumento di 250 punti base per il tasso ufficiale Bce nel periodo in esame).
All’aumento del costo del credito si sta accompagnando il rallentamento della dinamica dei prestiti – corretta per le cartolarizzazioni e le altre cessioni – che per le società non finanziarie registra una sostanziale stabilità, con +0,1% a gennaio 2023 che segue la ‘crescita zero’ a dicembre 2022.
In chiave settoriale, la dinamica dello stock dei prestiti – non corretta e relativa al totale delle imprese – vede un calo dell’1,8% per Manifatturiero, estrattivi e public utilities, del 2,3% del manifatturiero e del 5,8% per le costruzioni. Dopo aver registrato nel corso della crisi energetica una maggiore domanda di credito, anche i settori a maggiore utilizzo di energia a inizio 2023 entrano in territorio negativo, con una flessione dei prestiti del 2,2%: il trend è appesantito dal calo del 9,5% per raffinazione di petrolio, chimica e farmaceutica e del 3,8% per la metallurgia, metalli, vetro, cemento e ceramica, mentre rimangono in territorio positivo alimentare, bevande e tabacco (+2,5%), gomma e plastica (+2,0%) e carta e stampa (+0,8%). Sul fronte delle utilities, i prestiti segnano un calo dell’8,5% nel settore di energia elettrica e gas, mentre salgono del 12,5% in acqua e rifiuti.
Il rialzo del costo del credito influenza i piani di investimento, ma, almeno per ora, l’Italia registra una evidente resilienza rispetto agli altri paesi Ue. Nel quarto trimestre 2022 gli investimenti in Italia segnano una crescita congiunturale del 2,0% mentre calano in Eurozona (-2,8%); tra gli altri maggiori paesi Ue, si registra una flessione del 2,5% in Germania e del 3,7% in Spagna, mentre gli investimenti ristagnano in Francia (+0,3%).
Rubrica Imprese ed energia su QE- Quotidiano Energia del 28 marzo 2023