Venti di guerra in un’area che fornisce il 40,7% dell’import di energia italiano
La Penisola acquista petrolio e gas per 27,6 mld € dai Paesi nelle zone di conflitto, via stretto di Hormuz arriva il 14,2% delle commodity. Impatto negativo fino a 0,2 punti di Pil nel 2026
Lo scoppio del conflitto tra Israele e l’Iran interessa un’area strategica nella produzione di idrocarburi. L’analisi dei dati di Energy Institute sottolinea la rilevanza dell’area interessata dal conflitto nel quadro dell’offerta di energia mondiale. L’Iran, infatti, è il quinto paese produttore di petrolio dietro a Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia e Canada ed è il quarto per riserve dietro a Venezuela, Arabia Saudita e Canada. GAS
L’acuirsi della crisi in Medio Oriente ha determinato un rialzo delle quotazioni delle commodities energetiche, accentuando l’incertezza sugli scambi internazionali, già elevata a causa dell’annunciata guerra dei dazi. Per l’Italia è a rischio la ripresa delle esportazioni avviata nel primo quadrimestre dell’anno.
Hormuz, stretto chiave per il commercio di energia – Sulle quotazioni influiscono i timori della chiusura dello stretto di Hormuz – che collega il Golfo Persico Con quello di Oman – attraverso cui, secondo i dati di US Energy Information Administration (EIA) riferiti al 2023, transita oltre un quarto del petrolio scambiato via mare a livello globale e circa un quinto del commercio globale di gas naturale liquefatto (GNL).
Dai paesi che esportano attraverso lo stretto di Hormuz si concentra il 31,2% della produzione mondiale di petrolio, il 36,9% delle esportazioni di petrolio greggio e il 47,9% delle riserve petrolifere del mondo. In Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti si concentra poco meno di un quarto (23,9%) della produzione mondiale di gas naturale liquefatto.
Per l’Italia, il passaggio per lo stretto di Hormuz interessa importazioni di energia per 9,6 miliardi di euro, pari al 14,2% del totale, di cui 3,9 miliardi di petrolio raffinato (di cui 2,2 miliardi di euro da Arabia Saudita, 0,7 miliardi da Emirati Arabi Uniti e 0,6 miliardi da Kuwait) a cui si sommano 3,3 miliardi di euro di petrolio greggio (2,0 miliardi dall’ Iraq e 1,3 miliardi da Arabia Saudita e) e 2,5 miliardi di euro di GNL provenienti dal Qatar.
Tensioni sui prezzi dell’energia e impatto sulla crescita – L’analisi di rischio effettuata dal MEF nel Documento di finanza pubblica indica che un livello dei prezzi dal terzo trimestre del 2025 a tutto il 2026 più elevato rispetto allo scenario di riferimento di 10 dollari al barile per il petrolio e di 10 euro al MWh per il gas determinerebbe un impatto negativo sul tasso di crescita del PIL di 0,2 punti percentuali nel 2026 e di 0,1 punti nel 2027.
La spinta dei prezzi dell’energia determinerebbe un rialzo delle aspettative di inflazione e potrebbe determinare un rinvio dei prossimi tagli dei tassi da parte della BCE che metterebbe un freno alla ripresa degli investimenti, indicati in crescita dell’1,2% nel 2025 e dell’1,7% nel 2026 nelle ultime previsioni dell’Istat.
Venti di guerra, rischi per il 40,7% import di energia – Con l’attacco di Israele all’Iran nella notte tra giovedì e venerdì scorsi si intensificano i venti di guerra che alle porte dell’estate del 2025 interessano i paesi del Medio Oriente, con alcuni paesi limitrofi su cui si possono riverberare gli effetti della crisi mediorientale quali Egitto, Libia e Turchia, i paesi coinvolti nella guerra russo-ucraina, a cui si aggiungono India e Pakistan, interessati da scontri ai confini a inizio maggio.
L’Italia presenta una elevata dipendenza energetica dalle aree maggiormente interessate dai conflitti, con un import per petrolio greggio, gas naturale e petrolio raffinato da 17 dei 25 paesi in esame che nel 2025 ammonta a 27,6 miliardi di euro, rappresentando il 40,7% degli acquisti di energia dall’estero. Si tratta di una dipendenza elevata, ma in discesa (era del 64,0% nel 2021) a seguito del taglio delle forniture di gas e petrolio russo.
Nel dettaglio dall’area in esame l’Italia nel 2025 (ultimi dodici mesi a marzo) importa 13,2 miliardi di petrolio greggio pari al 50,9% dell’import di questa commodity, di 8,8 miliardi di euro di gas naturale, pari al 37,3% del totale e di 5,7 miliardi di petrolio raffinato, pari al 47,0% del totale. Assenti gli acquisti di carbone ed energia elettrica.
Una crescente instabilità geopolitica potrebbe compromettere la ripresa dell’export, già a rischio nel caso di esito negativo dei negoziati sui dazi, e rallentare il tentativo di recupero della crisi della manifattura. Nel complesso il rischio geopolitico determinato dai conflitti interessa un’area che complessivamente include 25 mercati nella quale nel 2025 (ultimi dodici mesi a marzo) il made in Italy vale 61,4 miliardi di euro, pari al 9,8% dell’export totale e il 19,9% delle esportazioni dei paesi extra Ue.
Rubrica Imprese ed energia su QE- Quotidiano Energia del 17 giugno 2025